Accettare altri modi di fare non può essere così difficile, no?
Ho un problemino: nelle ultime settimane sono diventata una gran rompiscatole. E dire che soltanto pochi mesi fa la mia tolleranza nei confronti di altri esseri umani e modi di fare era abbastanza alta. Poi, di punto in bianco, è svanita nel nulla. Ora, quando qualcuno (leggi: il mio compagno) fa una cosa diversamente da come la farei io, non riesco più a fare spallucce e a dirmi «Ma sì, amen», ma punto il dito, brontolo e correggo.
Lui è saggio. Reagisce alle mie polemiche invereconde con un cenno accomodante, ben consapevole del fatto che le mie grane sono solo il frutto della tempesta ormonale dell’allattamento e che prima o poi si placheranno da sé. Apprezzo questa sua pacatezza e questa sua fiducia in tempi migliori, ma mi vergogno di me stessa. Brontolii non stop, accuse, fare la so-tutto-io... Che cosa mi sta succedendo? È così che ho deciso, di mia spontanea iniziativa, di cominciare la terapia zen del «so what?».
Funziona così: lascio carta bianca al mio compagno su tutto, e ogni volta che sta per scapparmi un commento al vetriolo mi limito a mordermi la lingua e sorridere. Nel tupperware della merenda c’è una barretta ai cereali al posto della solita galletta di riso? Evito ogni tipo di sabotaggio. Lui appende i panni in cantina e non all’aperto? Ma sì, vivi e lascia vivere. Anche quando la mia dolce metà cucina la pasta facendo andare acqua ovunque oppure infila gli stivali di gomma ai bambini scalzi, io continuo inarrestabile il mio training autogeno, pronunciando tra me e me il solito mantra: «so what?».
La prima settimana è andata benissimo. Facevo passi da gigante, pensavo quasi di essere guarita. Poi è arrivato il weekend e lui ha deciso di portare le bambine a fare shopping. Fino ad allora l’acquisto di vestiti era sempre il stato il mio regno, ma le piccole avevano entrambe bisogno di un paio di leggings nuovi. E poi ormai la terapia aveva funzionato e si era conclusa. Per farmi perdere la pazienza ci sarebbe voluto ben altro che un paio di leggings con stampe di Hello Kitty o della principessa Elsa di Frozen.
Mi sbagliavo. I tre shopaholic sono tornati a casa carichi di sacchetti straripanti di vestiti: oltre ai leggings, c’erano gonne, magliette e calzini di tutte le taglie (ebbene sì) e di tutti i colori. E quando, magia delle magie, le piccole hanno tirato fuori dal cilindro anche due nuovi ventilatori, respirare a fondo non è servito più a niente: sono esplosa in una filippica epocale. Una disfatta totale!
So what.
Sull’autrice
Eva Wirth (38) vive con il compagno e i tre figli (zero, tre e sei anni) in un paesino nei pressi di Zurigo. Piuttosto che i consigli degli educatori, la famigliola preferisce ascoltare canzoni di Mani Matter. Eva è redattrice di professione, ma al momento si è presa una pausa per fare la mamma.